Giovedì 10 marzo 2016 la delegazione di Trieste dell’Associazione Italiana Sommelier ha tenuto, a scopo sia didattico che di fruizione, un evento dedicato alla cantina Antinori, strutturato, come sempre accade, in un momento di esposizione sull’attività del produttore e in uno di degustazione dei suoi vini.
L’azienda Antinori
La comunicazione della cantina è incentrata sulla lunga tradizione della famiglia, attiva nel mondo del vino da “ventisei generazioni”, come recita lo slogan dell’attuale campagna.
Vision e Mission aziendali sono illustrate in dieci minuti in un filmato di Cinzia TH Torrini, regista nota per la realizzazione di fiction di grande successo di pubblico (suo il fenomeno nazionalpopolare Elisa di Rivombrosa), in cui a suggestive panoramiche dei vigneti e della città di Firenze si alternano stralci di intervista al Marchese Antinori, che rimarca con forza l’orientamento dell’azienda al binomio, non esattamente inedito, di “tradizione e innovazione”.
Le tenute Antinori e i loro vini
La proprietà dell’azienda si compone di diverse tenute, sia in Italia che all’estero, di cui le più famose sono otto: quattro nel Chianti Classico (Antinori, Pèppoli, Badia a Passignano e, naturalmente, Tignanello), una nella DOC Bolgheri (Guado al Tasso), una nella DOCG Brunello di Montalcino (Pian delle Vigne), e due fuori dalla Toscana: Montenisa in Franciacorta e Castello della Sala in Umbria. Ciascuna ha, com’è ovvio, una propria vocazione.
In particolare, la tenuta di Bolgheri è considerata la più innovativa, poiché è qui che si assemblano i tagli bordolesi e si “fa ricerca” enoica anche al di fuori della tradizione toscana.
Le cantine del Chianti Classico, a loro volta, hanno una storia di rottura alle spalle: è qui, e in particolare nella tenuta Tignanello, che a partire dagli anni Sessanta la famiglia Antinori volta le spalle all’abitudine di produrre vino chianti in quantità e con l’impiego di uve bianche, votandosi all’imbottigliare un vino di qualità, a costo di poterlo etichettare semplicemente “vino da tavola”, perché contrario al disciplinare di allora; è sempre qui che la famiglia Antinori scrive la storia del Chianti Classico, contribuendo, con la propria rottura e il proprio successo, a ridefinire il disciplinare del vino (che solo nel 2006 escluderà l’uso di vitigni a bacca bianca e imporrà una percentuale minima di Sangiovese dell’80%).
Oggi ogni direttore di tenuta ha a disposizione un ettaro di vigneto per fare esperimenti, nel solco di quella ricerca di vino eccellente libera dalla sudditanza della consuetudine.
La degustazione dei vini Antinori
Cervaro della Sala 2014
80% Chardonnay, 20% Grechetto
Il blend è frutto del desiderio di dare a un vitigno tipicamente borgognone come le Chardonnay un’impronta italiana, che in questa annata – difficile per molti vini, ma ottima per il Cervaro – si fa più incisiva (la percentuale di Grechetto nel Cervaro 2012, infatti, si attestava al 15%).
L’equilibrio e la raffinatezza del vino sono ottenuti vinificando le uve delle varie parcelle separatamente e assemblandone i prodotti a più di cinque mesi dall’inizio della lavorazione, lasciando poi affinare il vino in bottiglia per dodici mesi.
Al naso è già molto fresco e rivela delicate note di spezie centroamericane.
Destinato a un più lungo invecchiamento, in bocca ha una spiccata mineralità e una spiccata acidità che, nel tempo, sono destinate a fondersi.
Pinot nero Castello della Sala 2013
Vinificato nei tradizionali tini a forma di tronco di cono, che permettono una pressione più delicata de cappello, evitando la frizione delle bucce contro le pareti del serbatoio, questo Pinot Nero ha iniziato la fermentazione alcolica in acciaio, per concluderla in barrique nuove, dove ha svolto anche la malolattica.
L’esame olfattivo riscontra profumi di fiori piccoli, viole e rose, e di frutti altrettanto piccoli, di bosco.
Al palato è morbido ed equilibrato, con una sapidità garbata, che lascia la bocca pulita.
Chianti Classico Villa Antinori 2012
90% Sangiovese, 10% Cabernet Sauvignon.
È, insieme allo spumante ottenuto dai mosti che provenivano dal nord Italia, uno dei vini più antichi degli Antinori, essendo prodotto fin dall’inizio del XX secolo. Resse l’affronto del marchio IGT per rispettare i propri standard qualitativi quando, negli anni Duemila, per farlo, fu necessario impiegare uve provenienti da altre zone.
Al naso ha spiccate note balsamiche e minerali e un sentore di torba leggero e sottile, accompagnati da un filo di rosa.
In bocca è fresco e presenta un’acidità piuttosto marcata, sottolineata da tannini giovani ed energici, ma non aggressivi, né invadenti.
Bolgheri Superiore Guado al Tasso 2013
55% Cabernet Sauvignon, 20% Cabernet Franc, 25% Merlot, con una minima percentuale – variabile – di Petit Verdot.
In tempi recenti, si è escluso il Syrah da questo blend, poiché sottraeva eleganza al vino, rendendolo quasi volgare.
Gli acini sono selezionati a mano e ciascuna varietà viene vinificata separatamente, secondo i criteri ad essa più congeniali, per essere poi assemblata alle altre tre mesi prima della messa in bottiglia, dove il vino si affinerà per altri dodici mesi.
Questo classico bordolese esprime note iodate, che tradiscono la prossimità di Bolgheri alla costa tirrenica, e sentori di spezie dolci, come la noce moscata, e di marmellata.
La bocca è coerente e le note burrose e morbide fanno sì che il sorso ricordi una crostata di ciliegie.
Tignanello 2010
Chiude la degustazione il vino più blasonato, uvaggio di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc (in rapporto di 16:3:1 – giusto per vedere se, dopo tanti assaggi, siamo ancora lucidi sui conti).
Il 2010 è stata un’annata difficile, salvata dall’esperienza di chi ha operato in vigna e in cantina.
Dopo una pigiatura delicata in tini a tronco di cono, il vino matura in botti di legno ungherese, la cui neutralità non ne ostacola l’espressione del carattere.
L’equilibrio è tale che i profumi si amalgamano senza che uno prevarichi sugli altri, mentre il sorso è avvolgente, grazie a tannini morbidi, ma vitali, garanzia di longevità.