da Alessio | Nov 15, 2018 | Degustazioni
La delegazione AIS di Trieste ha organizzato una serata di degustazione di vini californiani per introdurre la nuova edizione del Master sulla California, ideato e tenuto da Roberto Filipaz, delegato di Trieste, con la collaborazione di Bruno Cataletto.
Lo stato della California ha una superficie all’incirca equivalente a quella dell’Italia, e sebbene non possa forse vantare la medesima diversità, tentare di omologarne la produzione in una definizione omnicomprensiva sarebbe limitante e mortificante, per il fruitore prima che per il produttore.
Il master che AIS Trieste terrà nel 2019 si articolerà su più incontri, ciascuno dei quali affronterà un argomento in particolare.
Si partirà – a mio avviso giustamente – dalla storia della viticoltura in California, per comprenderne la direzione e le scelte, per poi scoprire le peculiarità delle diverse zone.
Cenni storici sulla viticoltura in California
La viticoltura negli Stati Uniti inizia in corrispondenza della rivoluzione industriale europea (1850 circa), cioè il periodo in cui molti Europei sono costretti a emigrare e cercano di fare fortuna dall’altra parte dell’Oceano, partecipando alla corsa all’oro.
È a questo periodo che risale la prima attestazione della presenza di una varietà importante: lo Zinfandel. A livello genetico è la medesima varietà nota in Puglia come Primivito e in Croazia come Plavec mali, ed è forse proprio della Croazia che è originario (non è chiaro quale sia stato il percorso, secondo alcuni è dalla Puglia che si è diffuso, ma di certo nasce in Europa); eppure in California è considerato autoctono, perché è qui che da 200 anni viene coltivato massicciamente ed è qui che ha dato i risultati più espressivi.
Nello stesso periodo, Agoston Haraszthy, un mercante di origine magiara, importa dall’Ungheria numerose talee di vitigni diversi e fonda quella che è considerata la prima “winery” vera e propria, iniziando l’attività di vinificazione delle uve coltivate in proprio.
Nel frattempo proseguono le immigrazioni e, dopo il primo flusso di tedeschi, olandesi, francesi e inglesi, è la volta degli italiani – siamo nel 1870 circa – tra cui la famiglia piemontese Seghesio.
Più devastante della filossera, negli USA è stato il proibizionismo, che, in concomitanza con la crisi del ’29, ha determinato la chiusura di numerose aziende vitivinicole. In questi anni, il numero delle cantine scende da 2000 a 100.
Il proibizionismo finisce nel 1933, e le aziende vinicole impiegano circa dieci anni per tornare al tenore produttivo che avevano prima.
Enorme impulso alla viticoltura californiana lo dà il giudizio di Parigi (1976), non solo e non tanto affermando la qualità dei vini della zona, bensì soprattutto sancendo quali siano i vitigni che meglio vi si esprimono.
Nel 1984 si verifica un nuovo flagello di filossera, che distrugge circa l’80% del patrimonio vitivinicolo americano.
È una perdita incommensurabile, ma è anche l’occasione per selezionale e piantare solo i vitigni che meglio si esprimono, elevando così la qualità media della produzione dello stato.
Sono anche gli anni in cui è presidente Reagan, che da attore e proprietario di un ranch nell’AVA Santa Ynez, promuove l’immagine del vino nel cinema hollywoodiano attraverso operazioni che oggi chiameremmo di “product placement”; il calice di vino sostituisce il sigaro della Golden Age tra le dita degli eroi di celluloide.
La fortuna del vino californiano, tuttavia, non si deve solo a eccezionali exploit qualitativi e ad astute operazioni di marketing. Sono soprattutto gli esperti produttori europei a farne la fortuna, approfittando della possibilità di sperimentare e innovare.
Tra essi, è imprescindibile l’apporto degli italiani fratelli Gallo, che per primi hanno fondato una cantina in Lodi, piantando quelle che ora sono tra le più vecchie vigne di Zinfandel in California e creando la più grande azienda a conduzione familiare al mondo.
Decenni dopo, il regista Francis Ford Coppola ha investito nelle winery in California i proventi dei suoi fortunati film, fondando una azienda sua, e ricalcando la teoria dei Gallo di produrre “vino per tutti”, cioè non un vino privo di carattere e, pertanto, declinabile in diverse situazioni, bensì una produzione estremamente diversificata, che includesse vino da tavola popolare quanto produzioni minime di zone limitate e vocate, di cui il tipico esempio è l’Alexander Valley.
Non si può parlare di California senza parlare di Robert Mondavi, la cui logica produttiva e di mercato è precisamente opposta a quella dei fratelli Gallo.
Egli lavora per far sì che la Napa Valley diventi una delle zone più importanti al mondo, grazie a una qualità media elevata; per essere, dunque, non il re guercio di un paese di ciechi, ma il migliore di una zona prestigiosa.
Effettua, tra le altre cose, cospicue donazioni a sostegno dell’istituto di enologia e della zona, affinché la ricerca non si debba fermare.
Oggi la California è uno stato la cui produzione appare omogenea solo al consumatore meno esperto, perché sebbene il numero di varietà coltivate sia ridotto – e si sia ridotto anche in nome del successo di mercato che alcune garantiscono – le espressioni territoriali restano peculiari.
Dal Kimmeridge dell’AVA Paso Robles alla calda Napa Valley settentrionale, passando per la fresca AVA Russian River e la nebbiosa Napa Valley del sud, ogni zona ha tratti precisi da rivelare.
Durante la serata organizzata da AIS Trieste il 9 novembre, ci siamo concentrati sulle aree vinicole nei pressi della baia di San Francisco, influenzate dal clima e dalle nebbie che la particolare conformazione orografica determina, patria di vini tra i più apprezzati al mondo e di interessanti variazioni sul tema.
Degustazione di vini californiani con i Sommelier di AIS Trieste
#1 Gnarly head
Petit Sirah (Durif) dal Lodi, AVA nella Central Valley dove si trovano fra le più antiche e migliori vigne di Zinfandel, con cui spesso questa vaietà è unita in blend (anche se non appare in etichetta).
Ha chiari e intensi profumi di frutta nera, in particolare mirtillo, e spezie; delicati sottobosco e vaniglia, accentuata dal residuo zuccherino palese.
I tannini sono quasi taglienti, se paragonati allo stile della zona e non manca di freschezza.
#2 Ravenswood
Zinfandel dall’etichetta di Zinfandel californiano per antonomasia, che affina i propri vini in parte in rovere francese molto tostata, in parte in dolce rovere americana.
All’inizio è chiuso, poi ha chiare note di spezie scure (pepe, cacao) e frutta nera. La tostatura è netta e richiama quasi l’incenso.
#3 Beringer
Cabernet Sauvignon dalla Napa Valley con chiaro sentore di peperone verde, frutta rossa, ciliegia e fragola.
La speziatura è più lieve, ma torniamo a uno stile molto morbido, conferito dal residuo zuccherino percettibile.
#4 Crane Lake
Cabernet Sauvignon di una cantina che è un vero e proprio marchio, parte di un gruppo fondato da un nipote dei fratelli Gallo, che produce vini per il consumo quotidiano di qualità superiore, generalmente monovarietali, corretti ma raramente impegnativi.
Vi troviamo abbondante vaniglia, sebbene piuttosto ben integrata, e accattivanti sentori di frutti di bosco, dal lampone alla mora, alla ciliegia.
#5 Seghesio
Zinfandel 2014 di una delle cantine storiche della contea di Sonoma, fondata da una famiglia di emigrati piemontesi che, storicamente, ha dapprima cercato di trapiantare le grandi varietà italiane nel Nuovo Mondo e ha poi trovato la via dell’eccellenza applicando l’expertise italiano alla produzione di vini dalle uve che meglio si esprimevano sui nuovi terroir.
Risulta succoso, con profumi di frutti di bosco alleggeriti dalla freschezza della foglia di pomodoro e da profumi di fiori scuri, speziato di liquirizia – decisamente più caramella che radice.
Decisamente il più composto e raffinato della serata.
#6 Francis Ford Coppola
Cabernet Franc dell’ Alexander Valley dal naso piuttosto complesso di mora, lamponi, ciliegie, cassis, foglia di pomodoro, spezie e cacao, arricchito da una tostatura gentile del rovere, e reso piacevole da un sorso decisamente fresco, quasi acido, di fragola e lampone.
da Alessio | Lug 4, 2017 | Degustazioni, Studio
La vita del sommelier e dell’importatore e distributore di vino è ricca di sfide stimolanti, per questo l’ho scelta.
Oggi tiro le fila del primo grande evento che ho organizzato e delle tante cose che ho imparato – e che ancora ci sono da imparare – sui vini del mondo.
Com’è il metodo di degustazione vino del WSET e come si svolge un wine tasting seminar?
Sabato si è tenuto il primo e per ora unico seminario di degustazione con il sistema WSET a Trieste, guidato da Robert McNulty e organizzato da me, attraverso la mia attività Enoteca Adriatica.
È stato, manco a dirlo, un successone.
Avevo già conosciuto Robert McNulty al corso di livello 2 del WSET, ed ero entusiasta delle sua competenza e della sua capacità di trasmetterla con semplicità. I partecipanti ne sono rimasti conquistati.
Poteva andare meglio dal punto di vista manageriale.
Mi sono fatto “abbindolare” da due persone che si sono dette interessate e hanno tenuto i posti occupati fino all’ultimo, per poi rinunciare. Risultato: io che ci rimetto l’ammontare di due quote e altri potenziali interessati che non riescono a partecipare, con un così scarso preavviso.
La lezione che ho imparato è che – se proprio non voglio applicare ricarichi a simili eventi, continuando a vendere le quote a prezzo di costo – devo essere più severo con le iscrizioni e formare una lista d’attesa più nutrita.
Saprò farmi perdonare questa ingenuità da chi è rimasto fuori! 😉
Ma molte altre, e più interessanti, sono le lezioni sul vino che, insieme agli altri partecipanti, ho imparato da Robert.
Il metodo di degustazione del WSET
È molto diverso da quello, che conoscevo, applicato dall’AIS.
Non credo si possa stabilire il migliore o il peggiore, ma, per chi come me fa il sommelier, l’importatore e distributore di vini o in qualche modo lavora nel mondo del vino, è fondamentale conoscerli entrambi per esprimersi in modo appropriato con interlocutori diversi.
È un metodo rigoroso che, attraverso un’analisi il più possibile oggettiva del vino, mira a risalire alla sua essenza e alla sua origine, oltre che a fare considerazioni sulla sua qualità e aspettativa di vita.
I vini del seminario di degustazione WSET
Appunti di note di degustazione per ciascuna sessione – in tutto abbiamo assaggiato 24 vini!
Vini aromatici e Spumanti
Limpido e di colore giallo limone di media intensità.
Ha profumi di media intensità di albicocca e pesca gialla, mela verde, limone. Non presenta profumi secondari, ma ha note terziarie di miele e idrocarburi.
Ha sapore secco e una spiccata acidità, corpo medio e aromi più intensi di frutta tropicale, con un leggero (leggero leggero) sentore di zolfo.
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
Quasi tutti abbiamo capito che è un Riesling. La texture oleosa e il bouquet ci dicono che viene dall’Alsazia.
(Trimbach, 2013)
Vini bianchi
Limpido e di colore giallo oro pallido.
Ha profumi di media intensità di fiori, uva fresca e drupe.
Al palato è secco e ha una spiccata acidità, corpo leggero e poco alcol; si sentono in bocca anche aromi di lime e limone.
La freschezza ci dice che non proviene da una zona calda.
Per alcuni e Gewurztraminer; ad altri ricorda il Moscato; altri scartano queste ipotesi, ma non hanno un’idea migliore.
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
È Torrontes dalla valle Calchaqui, in Argentina.
(Bodegas El Estaco, 2016)
Vini rossi
È limpido e di color rubino intenso.
Nei profumi, di media intensità, si riconoscono note di caffè, tostato, mirtillo, amarene ed erbe.
Il sapore è secco, l’acidità è media e medi sono i tannini. Il corpo è pieno e la sensazione alcolica è elevata. In bocca si sentono ancora aromi di prugna e vaniglia.
Il balsamico fa pensare al Merlot, ma ha tannini troppo alti per esserlo. Dobbiamo escludere anche il Cabernet Sauvignon, poiché non è abbastanza acido. Manca completamente del tipico sentore di pepe nero dello Shiraz. Ha il calore del Nuovo Mondo, ma è molto fresco per essere californiano…
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
È Carmenere dalla valle Colchagua, in Cile.
(Montes, 2014)
Vini fortificati (tre sherry e tre porto)
È limpido e ha un colore granato di media intensità.
Al naso ha profumi di rosa, chiodi di garofano, frutta sotto spirito, prugna cotta.
Anche in bocca rivela aromi di marmellata, prugna cotta e spezie dolci, è dolce e abbastanza acido, tannini modesti e buon corpo.
Pesiamo tutti sia un (ottimo) porto.
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
È un Fine Old Vintage, un vino fortificato prodotto, nello stile e con le uve del Porto, in Sud Africa.
(Allesverloren, 2010)
L’aspetto deprimente della faccenda è che ci vuole una competenza immensa per attribuire con esattezza determinate caratteristiche a determinati vini, oltre che molta abilità a riscontrarle nel bicchiere.
L’aspetto consolante, che mette una gran voglia di approfondire, è che abbiamo visto che è possibile.
Se si riescono a riconoscere e collocare correttamente (o sbagliando di poco) le tipologie di vino conosciute, dunque, più se ne conosceranno e più se ne riconosceranno.
Non resta che studiare e assaggiare!