La Francia è una meta imprescindibile per gli amanti del vino e gli #enoesploratori.
Viaggiare nelle zone vinicole, al di là del piacere che procura agli appassionati di vino, che visitano le loro “mecche”, è per me molto utile per comprendere e fissare meglio nella memoria le caratteristiche dei vini che vi vengono prodotti.
Per questo, da un po’ di anni a questa parte, la mia famiglia è andata ad allungare la schiera di coloro che scelgono le mete di vacanze in base al vino che vi si produce.
Dopo l’estate nella terra santa del Riesling, il periodo tra Natale e Capodanno è stato consacrato alla Valle del Rodano. Tutta.
Duemilanovecentoottanta chilometri al volante, e neanche la picca di farne ancora venti per arrotondare, tanto il viaggio di ritorno – con un bullone del motore che ci lascia a Venezia, il carrattrezzi e la notte a Marcon in attesa della diagnosi – mi ha provato, ma ne è valsa la pena.
Da Marsiglia, dove il giorno di Natale abbiamo goduto di una giornata primaverile, che ci ha permesso di pranzare all’aperto, siamo risaliti alla volta di Avignone, dove abbiamo fatto base per i primi tre giorni.
Lungo la strada verso Avignone, ci siamo fermati a visitare una cantina nel Tavel.
Il Tavel è un’AOC sulla riva ovest del Rodano che produce rosé, principalmente da Grenache e Cinsault. La caratteristica di questi vini è di essere relativamente complessi e di buon corpo, tanto da essere talvolta elevati in legno e degni di invecchiare in bottiglia per qualche anno.
Da Avignone, che ci aspettavamo essere una cittadina un po’ più vitale, abbiamo visitato alcune cantine della parte meridionale della Valla del Rodano.
Qui si producono prevalentemente blend di uve rosse, solitamente a prevalenza Grenache.
È stata anche l’occasione di visitare finalmente il Domaine de la Janasse, un’eccellente cantina di Courtezon, a un tiro di schioppo dal celebre cru Châteuneuf-du-Pape, che importo già da un paio di anni, con grande soddisfazione.
La cosa bizzarra delle visite alle cantine in quest’area della Francia è che la degustazione si svolge in piedi, non viene quasi mai dato accesso alla cantina e di fare un giro in vigna non si parla neanche.
Abituati all’ospitalità slovena, austriaca e tedesca, ci è parso un atteggiamento un po’ sbrigativo, ma presto abbiamo capito che è semplicemente l’usanza.
Successivamente ci siamo spostati a Vienne, che ci è parsa decisamente più vivace e interessante.
Da lì abbiamo visitato i produttori della parte settentrionale del Rodano, dove climi, terreni e – di conseguenza – vitigni e stile sono completamente diversi, e regna lo Syrah.
Tra gli appuntamenti fissati in questo viaggio, anche uno con una cantina della Côte Rotie non ancora importata in Italia, proprio per conoscerci e valutare reciprocamente la distribuzione dei loro vini in Italia attraverso Enoteca Adriatica. Una volta sul posto, però, abbiamo appreso che una manciata di settimane prima si erano accordati con un altro importatore italiano.
Non nascondo di esserci rimasto male, anche perché ci hanno fatto assaggiare vini molto buoni (in piedi, ça va sans dire) che avrei importato volentieri, ma suppongo di dover tirare un sospiro di sollievo per non essermi impegnato con un’azienda tutto sommato poco trasparente.
C’è stato anche il tempo di fare i turisti e abbiamo visitato Lione. Mi unisco al coro di coloro che ne lodano la bellezza.
Fortuna ha voluto che scegliessimo di fare shopping nell’enoteca di un ragazzo molto competente e appassionato, che ci ha consigliato ottimi vini (ora che ne abbiamo già stappati diversi lo posso affermare con sicurezza) e che ci ha dato il nome di un piccolo produttore della Côte Rôtie, a suo dire strepitoso, le cui bottiglie aveva, infatti, in vendita.
Senza sperarci troppo, invio un’email la sera del 30 per chiedere appuntamento per il giorno successivo. La mattina del 31 trovo una cortese risposta della cantina, che ci dà appuntamento alle 11.
La moglie del fondatore, che lavora le vigne e produce il vino personalmente insieme al marito, ci accoglie sul vialetto e ci conduce a visitare i vigneti.
Trascorriamo quasi un’ora sotto il tiepido sole della Côte Rôtie ad ascoltarla parlare di terreni, esposizione, drenaggio, agricoltura biologica… Quando risaliamo la scoscesa collina, ci conduce in cantina, dove ci mostra le botti in cui maturano i suoi vini e ci fa accomodare per assaggiarli.
I vini sono eccellenti e ci mettono poco a convincerci, mentre dal punto di vista umano eravamo già conquistati prima.
Proprio per essere sicuri di avere ben scisso la valutazione del prodotto dall’impressione generale, acquistiamo alcune bottiglie sul posto, per riassaggiarle insieme ad altri amici sommelier e raccogliere i loro pareri. A distanza di qualche settimana, la nostra ottima opinione sarà condivisa anche da altri esperti di Trieste ed effettuerò il primo ordine di importazione.
La cantina si chiama Clos de la Bonette ed è attualmente l’unica a produrre vino biologico in Côte Rôtie.